L’Eritrea è uno Stato monopartitico autocratico con libertà di opinione e di stampa molto limitata. Dall’indipendenza, dichiarata nel 1991, il Paese è governato da Isaias Afewerki, ovvero dal suo Fronte popolare per la democrazia e la giustizia (PFDJ). Sino ad oggi non si sono avute elezioni nazionali. La costituzione adottata nel 1997 non è mai entrata in vigore. Anche la libertà religiosa è limitata. L’Eritrea occupa il terz’ultimo posto nell’indice della libertà di stampa di «Reporter senza frontiere». Nel Paese non c’è una stampa libera, tuttavia sono disponibili canali televisivi satellitari esteri.
Dalla guerra di confine eritreo-etiope 1998-2000, tutti i cittadini eritrei sono obbligati a prestare un «servizio di leva nazionale» – in ambito militare o in ambito civile – la cui durata può essere indefinitamente estesa. Il luogo e il genere del servizio sono imposti. Nel 2018 l’Eritrea e l’Etiopia hanno concluso un accordo di pace. Successivamente la frontiera terrestre tra i due Stati è rimasta aperta per alcuni mesi. Neppure a un anno dalla stipula dell’accordo è tuttavia possibile valutare se questo sviluppo si ripercuoterà anche sul servizio di leva nazionale. Sinora non si costatano cambiamenti significativi.
Nel quadro della parte militare del servizio di leva nazionale sono documentate numerose violazioni dei diritti umani (tra cui arresto arbitrario, tortura). Oltre ai soldati, vi sono numerose altre vittime di violazioni dei diritti umani. Si pensi in particolare a chi critica il Governo oppure ai seguaci di comunità religiose non riconosciute. La maggior parte di queste vittime sono arrestate senza beneficiare di un qualsiasi procedimento e senza che i familiari vengano informati. In Eritrea vigono condizioni di carcerazione precarie. I casi di tortura sono frequenti.
Il rapporto «Eritrea – National service, exit, and return», redatto nel settembre 2019 dalla SEM per l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo EASO, propone una valutazione circostanziata della situazione prevalente in Eritrea e rilevante per la procedura d’asilo. Già negli scorsi anni la SEM aveva redatto dei rapporti sull’Eritrea, poi pubblicati dall’EASO (si vedano i link qui sotto).
Eritrea: National service and illegal exit (EASO, September 2019) (PDF, 11 MB, 01.09.2019)
(Questo documento non è disponibile in italiano)
Eritrea: Nationaldienst und illegale Ausreise (EASO, November 2016)
Eritrea: National service and illegal exit (EASO, November 2016)
(Questo documento non è disponibile in italiano)
Focus Eritrea: Update Nationaldienst und illegale Ausreise (August 2016) (PDF, 1 MB, 10.08.2016)
(Questo documento non è disponibile in italiano)
Eritrea: notizie sul paese (EASO, maggio 2015) (PDF, 4 MB, 01.05.2015)
Eritrea: notizie sul paese (sintesi, agosto 2015) (PDF, 161 kB, 01.05.2015)
Il servizio di leva nazionale in Eritrea presenta una componente militare e una civile. Il servizio è obbligatorio per uomini e donne indistintamente e la sua durata è indeterminata. Chi presta servizio militare non ha praticamente alcuna prospettiva di proscioglimento. Per chi presta servizio civile, le prospettive di proscioglimento migliorano dopo circa dieci anni. Diversi rapporti documentano violazioni dei diritti dell’uomo, soprattutto nel quadro della parte militare del servizio nazionale. I soldati sono spesso arrestati e talvolta torturati per il semplice fatto di aver formulato critiche nei confronti dei superiori o di aver commesso infrazioni di scarsa entità contro l’ordine. Il soldo è talmente infimo da non bastare nemmeno a coprire le spese di sostentamento dei soldati. Dalla riforma del 2015 alcuni membri del servizio nazionale ottengono una rimunerazione leggermente maggiore.
Il Governo eritreo considera il servizio di leva nazionale un progetto di ricostruzione dello Stato, cui ogni cittadino è tenuto a contribuire. Disertori e renitenti alla leva sono pertanto considerati «traditori della patria» e vengono puniti con un rigore eccessivo.
I principali motivi dell’emigrazione eritrea sono le violazioni dei diritti umani e la durata indeterminata del servizio di leva nazionale, la connessa assenza di prospettive e la repressione della libertà d’espressione.
I motivi che spingono gli Eritrei a emigrare sono quindi perlopiù direttamente riconducibili al servizio di leva nazionale. Attualmente i soldati restano in servizio per una durata indeterminata. Nel quadro del servizio militare, le reclute sono esposte all’arbitrio dei superiori. Qualsiasi forma di critica o indisciplina è punita duramente (carcerazione arbitraria, tortura). La situazione dell’economia, fortemente dominata dallo Stato e dall’esercito, è precaria. L’apertura della frontiera nel settembre 2018 ha fatto diminuire nettamente i prezzi della maggior parte dei prodotti grazie alle importazioni dall’Etiopia. Nel 2019 i prezzi sono tuttavia nuovamente saliti. La situazione sotto il profilo dell’approvvigionamento è pessima, l’energia scarseggia e, conseguentemente alla riforma dirigista della valuta del 2015/2016, l’economia manca di liquidità.
Chiunque critica la politica o il servizio di leva nazionale o pratica una religione non registrata (p. es. pentecostali, testimoni di Geova) è arrestato, rinchiuso in luoghi ignoti, senza procedimento e senza indicazione di un termine, e non di rado sottoposto a tortura. In passato tale era la sorte riservata ai disertori tornati in Eritrea. I richiedenti l’asilo provenienti dall’Eritrea ottengono asilo non in ragione della situazione economica, bensì delle pene eccessivamente severe comminate per ragioni politiche nei riguardi di disertori e renitenti alla leva in caso di ritorno al Paese.
Paese | Domande d’asilo | |||||
2014 | 2015 | 2016 | 2017 | 2018 | 2019 (sino a fine ago.) |
|
Germania | 13 200 | 11 000 | 19 100 | 9 250 | 4 900 | 2 200 |
Svizzera | 6 900 | 9 950 | 5 200 | 3 400 | 2 850 | 2 000 |
Paesi Bassi | 4 000 | 7 400 | 2 900 | 4 050 | 1 500 |
400 |
Svezia | 11 500 | 7 250 | 1 150 | 700 | 875 | 450 |
Gran Bretagna | 3 250 | 3 750 | 1 300 | 1 150 | 2 250 |
1 250 |
Norvegia | 2 300 | 2 950 | 600 | 850 | 250 | 125 |
Danimarca | 2 300 | 1 750 | 250 | 300 | 500 | 225 |
Italia | 750 | 750 | 7 700 | 6 700 | 1 000 | 250 |
Francia | 725 | 1 550 | 1 350 | 1 050 | 1 700 | 1 050 |
Belgio | 725 | 350 | 350 | 700 | 725 | 725 |
Quasi tutti gli Eritrei che fino alla metà del 2017 sono immigrati in Europa erano transitati dall’Italia senza l’intenzione di restarvi. Le loro principali mete erano Germania, Paesi Bassi, Svizzera, Svezia, Gran Bretagna e Francia. In tutti questi Stati la quota di protezione nei riguardi dei richiedenti l’asilo eritrei era ed è tuttora analoga a quella della Svizzera.
Dal 2017 al 2019 la quota di protezione ha oscillato tra il 77 e l’85 per cento. In quegli anni la media europea si è mossa tra l’80 e l’85 per cento.
Fino al 2017, la vicinanza con l’Italia ha costituito uno dei maggiori fattori che hanno indotto i cittadini eritrei a venire in Svizzera – tra quelli summenzionati, la Svizzera era il Paese che poteva essere raggiunto più rapidamente e con il minor costo. Tuttavia, già allora numerosi Eritrei hanno proseguito il loro viaggio in direzione della Germania, più attrattiva della Svizzera in quanto applica procedure più brevi e una prassi meno restrittiva in materia di allontanamenti Dublino verso l’Italia.
Dall’inizio dell’estate 2015 si osserva un calo dell’attrattiva del nostro Paese per i richiedenti l’asilo eritrei. La maggior parte degli Eritrei fermati in Ticino dal Corpo delle guardie di confine non chiede asilo in Svizzera, bensì manifesta l’intenzione di attraversare il nostro Paese per recarsi in Germania, nei Paesi Bassi o in Svezia.
Nel 2016 il numero di Eritrei che hanno utilizzato la rotta del Mediterraneo centrale è sceso da 39 150 nel 2015 a 20 700. L’Italia ha registrato praticamente tutti i migranti sbarcati. Molti di loro hanno chiesto asilo in Italia. Nel 2017 il numero di Eritrei sbarcati è sceso a circa 7000. La maggior parte ha presentato una domanda d’asilo in Italia per poi essere trasferita in altri Paesi europei nel quadro del programma di ricollocazione. Nel 2018 sono giunti in Italia 3300 Eritrei, per la maggior parte durante il primo semestre. Nel 2019 ne sono giunti, sino a fine agosto, meno di un centinaio.
Dopo aver lasciato la propria patria, la maggior parte dei migranti eritrei soggiorna in campi profughi in Sudan o Etiopia, giacché il prosieguo del viaggio verso l’Europa o l’America del Nord è molto costoso. In Europa, la Svizzera è una meta importante per i richiedenti l’asilo eritrei. Nel 2015, circa 47 000 cittadini eritrei hanno chiesto asilo in Europa, di cui quasi 10 000, ovvero circa il 21 per cento, in Svizzera. Nel 2016 e nel 2017 questa quota si è attestata al solo 12 per cento circa. Nel 2018 è salita al 16 per cento e nel 2019 (stato al 31.8.) al 21 per cento. Questa evoluzione non è dovuta a una ripresa della migrazione di cittadini eritrei verso l’Europa o la Svizzera. In Svizzera i ricongiungimenti familiari, le nascite di figli di richiedenti l’asilo, di rifugiati ammessi provvisoriamente e, in determinati casi, di rifugiati riconosciuti nonché le domande d’asilo multiple sono considerate nuove domande d’asilo. Nel 2018 oltre l’80 per cento delle domande d’asilo di cittadini eritrei in Svizzera riguardava queste categorie di persone e nel 2019 questa percentuale ha addirittura oltrepassato, già nel mese di agosto, la soglia del 90 per cento.
Conformemente alla legge sull’asilo, alla prassi della SEM e alla giurisprudenza del Tribunale amministrativo federale (TAF), di per sé la renitenza alla leva o la diserzione non costituiscono motivi sufficienti per il riconoscimento della qualità di rifugiato. Occorre tuttavia concedere l’asilo ove la renitenza alla leva o la diserzione sia connessa con una persecuzione ai sensi dell’articolo 3 capoversi 1 e 2 della legge sull’asilo. Se dall’esame della domanda d’asilo emerge che la pena pronunciata nei confronti della persona interessata non è volta a garantire l’osservanza dell’obbligo di leva ma semmai a qualificare il renitente alla leva o il disertore come avversario politico e a infliggergli una pena eccessivamente severa e trattamenti contrari ai diritti umani, è data una persecuzione rilevante per l’asilo ai sensi dell’articolo 3 della legge sull’asilo.
Sulla base dell’insieme delle informazioni disponibili, nel valutare le domande d’asilo di richiedenti eritrei la SEM dà per acquisito che in Eritrea i disertori e i renitenti alla leva sono regolarmente giudicati e puniti in maniera arbitraria dai comandanti militari al di fuori di qualsiasi procedimento giudiziario. Le sanzioni hanno spesso carattere inumano e degradante e sono estremamente severe. Possono eventualmente comprendere tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti ai sensi dell'articolo 3 CEDU. Si constata che tali sanzioni sono inflitte sostanzialmente per motivi politici (cosiddetto Politmalus).
Nel giugno 2016 la SEM ha adeguato la propria prassi nei riguardi dei richiedenti l’asilo eritrei: da allora, l’espatrio illegale non costituisce più, di per sé, un motivo rilevante ai fini dell’asilo conformemente all’articolo 3 LAsi. I cittadini eritrei che non sono mai stati convocati per il servizio nazionale oppure che sono stati esentati o congedati dal servizio nazionale non sono pertanto più riconosciuti quali rifugiati. Ogni caso è tuttavia esaminato individualmente e accuratamente.
La sentenza del Tribunale amministrativo federale del 30 gennaio 2017 conferma la prassi applicata dalla SEM dal giugno 2016 per l’emanazione delle decisioni riguardanti i richiedenti l’asilo eritrei. L’unica conseguenza della sentenza è pertanto il prosieguo della prassi adottata sinora dalla SEM.
Per i cittadini eritrei la cui domanda d’asilo è stata respinta occorre valutare approfonditamente, caso per caso, se sussistono eventuali ostacoli all’esecuzione dell’allontanamento verso l’Eritrea. Secondo la sentenza del Tribunale amministrativo del luglio 2018 emanata dopo una procedura di coordinamento, tuttavia, in linea di massima neppure la minaccia del richiamo al servizio di leva nazionale eritreo costituisce un ostacolo all’esecuzione. Peraltro, al momento in Eritrea non prevale una situazione di guerra, guerra civile, o violenza generalizzata, per cui l’esecuzione dell’allontanamento è di principio ragionevolmente esigibile. Tuttavia, se dall’esame del caso specifico emerge che in caso di ritorno l’esistenza dell’interessato potrebbe essere esposta a pericolo, è ordinata l’ammissione provvisoria per inesigibilità dell’esecuzione dell’allontanamento in Eritrea.
Le autorità eritree continuano peraltro a non accettare il rimpatrio coatto dei propri cittadini. I rimpatri volontari sono invece possibili.
La legge sull’asilo vieta ai rifugiati riconosciuti di entrare in contatto con le autorità del loro Paese d’origine. I viaggi nel Paese d’origine sono compresi in questo divieto. Se ha le prove che un rifugiato si è recato nel Paese d’origine, la SEM può revocare l’asilo e disconoscere lo statuto di rifugiato dell’interessato. Le autorità federali (SEM e altre autorità) si adoperano per dimostrare, nella misura consentita dalle leggi in vigore, l’avvenuto ritorno in patria di cittadini eritrei e adottano le misure del caso.
Di norma e a prescindere dalla nazionalità, il tasso di dipendenza dall’aiuto sociale dopo la concessione dell’asilo o l’ammissione provvisoria si situa al di sopra dell’80 per cento. Diversi i motivi: in genere occorre dapprima imparare la lingua locale. Inoltre, per integrarsi con successo nel mondo del lavoro occorre una certa conoscenza delle norme culturali vigenti sul posto di lavoro. Molti rifugiati o persone ammesse provvisoriamente devono inoltre conseguire le qualifiche professionali richieste dal mercato del lavoro svizzero, il che richiede tempo. Infine non si deve dimenticare che il lavoro integrativo vero e proprio inizia dopo la concessione dell’asilo o l’ammissione provvisoria.
Nel caso degli Eritrei vi è una serie di altri fattori che ostacolano l’integrazione: un certo numero di essi ha una formazione minima, le barriere linguistiche e culturali sono ingentissime e la maggior parte degli Eritrei non conosce la nostra scrittura e deve quindi essere per così dire «rialfabetizzata».
Ultima modifica 01.10.2019